30 Aprile 2010
TECNOSCIENZE E RELATIVISMO
Considerazioni di Gaetano Rebecchini
Giorni fa alla cerimonia di premiazione del Master per la formazione di esperti in politica, promosso dalla LUMSA e dalla Fondazione Roma, nel mio breve intervento, quale Presidente del Comitato Promotore, prendendo spunto dallo slogan del Master “il primato della politica” ebbi modo di far presente come l’affermare quel “primato” - che sottolinea la nobiltà della Politica al servizio del bene comune - sia sempre stato un non facile compito, ma oggi ancora più difficile per il “clima” creatosi in questa nostra “società post-moderna” che si caratterizza per l’ accelerato sviluppo “tecno-scientifico” ed una crescente deriva del relativismo etico.
Pertanto quanto mai lodevole è l’impegno di quegli enti che si dedicano alle nuove leve della classe politica, curandone non solo la preparazione professionale, ma anche e soprattutto quella “formazione” morale in grado di fronteggiare le insidie e le tentazioni del potere, oggi rese più aggressive per quanto sopra detto.
Ho voluto ricordare quel mio breve intervento, che mi pare abbia colto nel segno, visto che, dopo l’incontro, più di una persona volle intrattenersi con me su quanto avevo detto. E questo mi ha spinto a ritornare sull’argomento allora appena sfiorato che, come potete bene immaginare, è ampio e complesso. Le domande che in quell’occasione mi furono rivolte possono riassumersi nelle seguenti:
“Come e quando ha avuto inizio il cambiamento verso la “post-modernità?” Ed ancora: “perché il relativismo è tanto dannoso?”
Per rispondere alla prima domanda occorre ritornare alla fine degli anni ’60, al tante volte citato “ ’68” ed al decennio che lo seguì. Ripercorrere quindi gli eventi di quei giorni, le manifestazioni, i discorsi, gli slogans e soprattutto le idee che andavano diffondendosi sconvolgendo non solo abitudini, costumi e stili di vita ma anche e soprattutto valori di riferimento tramandati da generazioni e radicati nel tessuto sociale con conseguenze nella famiglia, nella scuola, nell’università, nei luoghi di lavoro, nei circoli culturali, ed anche purtroppo negli stessi ambienti religiosi.
In quegli anni ebbe inizio non solo in Italia, ma in tutti i Paesi dell’Occidente ed in particolare in Europa, la prima fase - che potremmo definire “di secolarizzazione” - di una grande rivoluzione tutt’ora in corso. Una “rivoluzione culturale” le cui conseguenze potrebbero essere anche più gravi di quelle prodotte dagli altri analoghi sconvolgimenti verificatisi nei secoli passati nell’Occidente Cristiano.
E’ stato messo in discussione il “principio di autorità” incrinando così quel fondamentale rapporto tra genitori e figli, e messo in crisi anche quello tra professori ed allievi così come quel rispetto gerarchico indispensabile per il buon andamento di qualsiasi azienda sia essa pubblica o privata.
E’ esploso il fenomeno del “femminismo” - che, si badi bene, nulla ha a che vedere con il giusto processo di emancipazione della donna – un femminismo che, reclamando “nuovi diritti”, non solo ha contribuito al dissesto dell’istituto della famiglia ma ha altresì mortificato la maternità e favorito la diffusione di una sessualità senza freni.
Ha poi avuto inizio la diffusione di una libertà irresponsabile, insensibile all’innata esigenza di verità, che offende non solo la ragione ma la stessa natura umana.
Questi in sintesi i più significativi e gravi indirizzi della rivoluzione culturale iniziata alla fine degli anni ’60 e che per gli ulteriori e sempre più rapidi sviluppi della “tecnoscienza” – ed al riguardo basterebbe aver presenti le sconvolgenti sfide dell’ingegneria biogenetica – viene oggi ad assumere i caratteri di una vera e propria “rivoluzione antropologica”.
Si potrebbero ritenere queste mie parole esagerate. Ma di certo, se si confrontasse con attenzione la nostra attuale situazione etico-sociale con quella di circa 50 anni fa, ( cosa ovviamente possibile solo a persone di età avanzata) o quanto meno si volesse tornare con la memoria a quanto veniva detto ed insegnato dai nostri padri, non si potrebbe non convenire sul fatto che una vera grande rivoluzione ha investito ed investe la nostra società. Attenzione, non voglio con ciò dire che in passato tutto fosse sereno e tranquillo, tutt’altro, non mancarono anche allora eventi gravi e dolorosi, ma il clima era diverso, meno trasgressivo e di certo più umano.
Dicevo agli inizi come l’attuale società “post-moderna” sia particolarmente caratterizzata dagli effetti prodotti dagli sviluppi della “tecnoscienza” che si accompagnano alla crescita del “relativismo etico”. Ma non equivochiamo, qui non si vuole assolutamente ostacolare lo sviluppo tecnico-scientifico, che offre all’umanità sempre nuove e straordinarie possibilità, ma si vuole porre in evidenza il fatto che se quello sviluppo – che già di per sé tende a favorire l’illusione di una onnipotenza dell’uomo – non viene accompagnato da una adeguata crescita della nostra “coscienza etica” il pericolo può divenire enorme. Ed è proprio ciò che si sta verificando, in quanto gli sviluppi della tecnoscienza non si accompagnano ad una salutare crescita della nostra “coscienza etica” bensì a quella di una deriva relativista, dando così luogo ad una pericolosa miscela.
In un Convegno promosso dal Centro di Orientamento Politico nell’ottobre 2004 l’allora Cardinale Ratzinger ebbe ad affermare : “ In questi termini si pone la discrasia del nostro tempo: la continua crescita delle nostre possibilità, e la non equivalente crescita della nostra forza morale; lo squilibrio tra potere tecnico, potere di fare e la nostra capacità di dominare tale potere sulla base di principi che garantiscano la dignità dell’uomo, ed il rispetto della creatura e del mondo.”
E quella “discrasia” e quello “squilibrio” tra potere tecnico e capacità di dominarlo sono accentuati proprio dalla presenza di quella deriva relativista che ostacola la “crescita della nostra forza morale”.
Recentemente, parlando di questioni di carattere etico ed avendo detto di non condividere un determinato comportamento, mi è capitato di ricevere una risposta di questo tipo: “tu ritieni che quel comportamento non sia giusto? Bene, non lo fare. Ma perché vuoi imporre a me di non farlo? Libero te e libero io”.
Come vedete una risposta semplice e scontata che a prima vista potrebbe anche apparire logica. Eppure pensateci bene: quella risposta mette in luce una coscienza incapace di distinguere il “bene” dal “male”, il “giusto” dall’ “ingiusto”, così come il “vero” dal “falso”. Questo è il “relativismo etico” che consente qualsiasi comportamento morale con le conseguenze che ben potete immaginare. In proposito non posso non citare ancora una volta l’allora Cardinale Ratzinger che in un’omelia dell’aprile 2005 diceva: “……..il relativismo non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.”
Il relativismo è il frutto di una cultura che non ha ideali, che non accetta regole, che rifiuta stabili principi e valori e che annulla ogni “senso di responsabilità”, una cultura nichilista che genera caos e anarchia.
Non facciamoci ingannare. Occorre quanto prima rimettersi sulla giusta strada: riprendere cioè la strada maestra della nostra “civiltà cristiana” i cui fondamentali principi sono iscritti nel cuore di ogni uomo, la cosiddetta “legge naturale”, che dovrebbe essere sempre a fondamento delle leggi dello Stato, altrimenti dette “leggi positive” così chiamate perché fatte dagli uomini.
Affermava, già prima del Cristianesimo, Cicerone: “l’unico criterio per poter stabilire se una legge sia giusta è se risponda o no alla legge naturale” ed ancora nel primo libro del suo “De Legibus” scriveva: “per stabilire la legge naturale c’è la ragione, il dono divino che Dio ha consegnato agli uomini”. E la Dottrina Cristiana ci dice che quel Dio è la Ragione Prima che ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza.
“In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il verbo era Dio……”
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